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Scorci. Un capro espiatorio per la peste nera: l’ebreo avvelenatore di pozzi

Ritornata d'improvviso in Europa a metà del Trecento, la peste travolse il continente uccidendo rapidissimamente circa un terzo dei suoi 75 milioni abitanti. In molte regioni si cercò un capro espiatorio, sul quale si scatenò una violenza con radici antiche: gli ebrei. Sono vicende che noi oggi guardiamo come se fossero lontane, ma che hanno ancora molto da dirci. 

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Rappresentazione della peste bubbonica che colpì la città di Tournai.
Immagine tratta dalle cronache di Gilles Li Muisis (1272-1352) - Biblioteca Reale del Belgio



Europa, 1348 

«Gli ebrei avevano gettato dei gran veleni nelle fontane e nei pozzi, in tutto il mondo, per appestare e avvelenare la cristianità. Ecco perché i grandi e i piccoli ebbero molta collera contro gli ebrei che furono presi ovunque fu possibile e messi a morte e bruciati, in tutte le marche in cui i “flagellanti” andavano e venivano dai signori»
Sono le parole del cronista Jean Froissart (1337-1405) che nelle sue Chroniques racconta l’Europa del XIV secolo. La peste arriva dall’Oriente: il morbo viaggia con gli uomini d’affari, i mercanti medievali e di porto in porto miete vittime e si diffonde. A fare vittime non è solo la malattia ma anche la follia. E la paura. Movimenti popolari di espiazione e di purificazione dell’anima (si credeva del resto che la peste fosse un supplizio divino) si sviluppano un po’ ovunque e ovunque portano morte e distruzione: cercano un capro espiatorio da sacrificare. 
Ebrei condannati al rogo, accusati di aver diffuso la peste tramite l'avvelenamento dei pozzi. 
Stampa del XV secolo.

Comincia a diffondersi una voce: si dice, e poco dopo si crede, che l’epidemia sia stata scatenata, in modo volontario, dagli ebrei. È una convinzione diffusa tra le masse e rimangono inascoltate le parole dei medici e dei dotti i quali affermano che è impossibile individuare in loro la causa della peste, dal momento che anch’essi ne muoiono come tutti gli altri. Aegidius Tschudi, storico e autore di una Cronaca Elvetica, nel XVI secolo usa queste parole:
«Molte persone sagge sono dell’opinione che gli ebrei non siano colpevoli di avvelenare l’acqua e che essi lo confessino soltanto sotto tortura, mentre attribuiscono l’avvelenamento al terribile terremoto del gennaio del 1348. Questo squarciò la superficie terrestre e permise ai cattivi e nocivi vapori di entrare nelle sorgenti e nei pozzi. Gli ebrei che sono quasi tutti medici e scienziati erano al corrente di ciò e lo tenevano presente evitando le sorgenti e i pozzi e in molti luoghi mettevano in guardia la gente dai pericoli che questi rappresentavano. Per questo sarebbe stato impossibile che avessero avvelenato tutte le fonti della cristianità. In breve la gente fu incitata contro gli ebrei che non potevano aspettarsi nessuna giustizia». 
In territorio tedesco è caccia all’ebreo così come in Francia: è a Tolone che tra il 13 e il 14 aprile 1348 una quarantina di ebrei sono additati come responsabili della pandemia e trucidati senza esitazione. Si tratta della maggior parte della comunità ebraica della città. Ma, a partire dal mese di maggio, le spoliazioni e le angherie si moltiplicano: a Manosque in Provenza, a Apt, Forcalquier e a Aix-en-Provence gli ebrei sono privati di tutti i loro averi; a Narbona e a Carcassone vengono massacrati. 
E ancora, la penisola iberica: nel giugno del 1391 – nell’ambito di una grande carestia – sono numerosi gli arringatori che eccitano la folla portandola a invadere il quartiere ebraico di Siviglia, riprendendo l’argomento degli ebrei come responsabili della peste. L’assalto si trasforma in un crudele bagno di sangue: 4000 ebrei sono assassinati, altri convertiti a forza. I disordini si propagano come un incendio da Siviglia a Toledo a Còrdoba a Barcellona dove muore l’unico figlio del celebre studioso di filosofia Hasdai Crescas. Lo stesso Crescas racconta l’episodio in una lettera indirizzata a un suo corrispondente di Avignone. 

Penisola italiana, 1348 
E l’Italia? La penisola italiana, frammentata in diverse realtà politiche, rappresenta un'interessante e forse poco nota anomalia nel panorama europeo. Di racconti simili a quelli che abbiamo solo fugacemente letti nelle righe precedenti non vi è traccia nelle cronache, nei gesta o in altri documenti: autori come i cronisti fiorentini Matteo e Giovanni Villani, Dino Compagni, Agnolo di Tura, per citarne solo alcuni, non riportano notizie di pogrom contro gli ebrei o di accuse contro le comunità ebraiche, nonostante ci abbiano raccontato nei particolari l’arrivo della peste e la sua diffusione: sono cronache che, pur ricchissime di dettagli riguardo alla vita dei comuni medievali nella penisola, non fanno allusioni ad atti di violenza nei confronti degli ebrei. È un caso particolare che alcuni storici, come Michele Luzzati, hanno collegato al radicamento, ormai stabile alla metà del Trecento, di comunità di ebrei almeno in tutta l’area centro settentrionale della penisola. Uomini dediti molto spesso ad attività di prestito, indispensabili allo sviluppo delle attività mercantili così fiorenti. 

Flagellanti.
Erano gruppi diffusi nel tardo medioevo convinti che un'intensa e continua mortificazione del corpo mediante flagellazione avrebbe purificato la loro anima.
La flagellazione era un mezzo espiatorio per chiedere la cessazione di fenomeni come peste o guerre.

Le radici della violenza: una riflessione
Se la paura indusse alla ricerca del capro espiatorio – con poche eccezioni, come abbiamo visto – è lecito domandarsi perché negli anni della Peste ci si rivolse proprio alle comunità di ebrei. I fatti del 1348 sembrano rappresentare, secondo le parole di Léon Poliakov nalla sua Storia dell’antisemitismo, un «arrivo a maturazione di quello specifico fenomeno che rappresenta l’antisemitismo cristiano». Facciamo un passo indietro per capire il clima e per comprendere come quelli della metà del Trecento non furono attacchi inaspettati. Era il 1095 quando Urbano II rivolgeva il suo appello al pellegrinaggio in Terrasanta al fine di liberare i luoghi santi dagli infedeli. L’interpretazione dell’appello dovette essere quanto mai elastica, visto che i primi gruppi «crociati», partiti a ondate, male armati e privi di un’organizzazione, si dedicarono – dopo aver risalito alla rinfusa le valli del Reno e del Danubio – al saccheggio delle campagne e al massacro delle comunità giudaiche. Leggiamo una descrizione di uno dei momenti di razzia e barbarie a opera dei gruppi di pellegrini; il racconto ci arriva da una delle numerose cronache scritte a seguito delle spedizioni crociate, l’autore è Alberto D’Aix. È assai probabile che D'Aix non avesse mai visitato la Terra Santa e che avesse scritto la sua cronaca – molto diffusa nel Medioevo – basandosi solo sui racconti di viaggi di chi tornava, ma è ugualmente importante perché ci fa comprendere come questi racconti fossero ormai in circolazione e come la notizia che gli ebrei fossero stati presi di mira dai Crociati era nota ai più:
«Di là, non so se per giudizio di Dio o per qualche errore del loro animo, cominciarono ad infierire crudelmente contro gli Ebrei dispersi in alcune città e ne fecero crudelissima strage, specialmente in Lorena, asserendo che questo era il modo giusto di cominciare la spedizione e ciò che i nemici della fede cristiana meritavano. Questa strage di Ebrei cominciò a opera dei cittadini di Colonia che, gettatisi d'un tratto su un piccolo gruppo di essi, ne ferirono moltissimi a morte: poi misero sottosopra case e sinagoghe, dividendosi il bottino». 
Gli ebrei furono spesso ritenuti, come ci invita a considerare Giacomo Todeschini, rappresentanti generici di qualsiasi aberrazione riconducibile al rifiuto del modo giusto di credere: la loro infidelitas, rappresentata come resistenza cieca e aggressiva, diventa il modello a cui riferire altre o più sottili forme di infedeltà, di crimine o di deviazione sociale. Spesso, nel corso del Medioevo, gli ebrei sono visti e trattati non come gruppi di uomini storicamente e localmente ben definiti, ma come un modello astrattamente negativo in cui si riassumono gli elementi di disordine, temuti come distruttivi o perturbativi della società cristiana. In quest’ottica il riversarsi di violenza su di loro nel corso dell’epidemia di fine Medioevo assume una profondità storica assai ampia le cui radici sono da ricercare nei primi secoli della cristianità. E, a sua volta, la caccia all'untore che si scatenerà tre e quattro secoli più tardi, quando in Europa tornerà la peste, porterà con sé l'eco della Morte Nera del Trecento e la sua psicosi del complotto – sempre presente, sempre attuale. 

[articolo a cura di Caterina Ciccopiedi]

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